Scultura di caprone della collezione Torlonia Roma
Statua di caprone a riposo, corpo databile I-II secolo d.C., testa di G.L. Bernini, Collezione Torlonia; Foto di L. Marchesini

Approfondimento sull’opera: Statua di caprone a riposo

Uno degli aspetti più interessanti della mostra Marmi Torlonia. Collezionare capolavori allestita dal 14 ottobre 2020 al 29 giugno 2021 a Roma presso i Musei Capitolini nelle sale di Villa Caffarelli, è la restituzione del differente approccio e sensibilità che i collezionisti del passato ebbero nei confronti dei marmi antichi rispetto ad oggi.

Una delle sculture più significative a tal proposito è la Statua di caprone a riposo in marmo (si veda http://torloniamarbles.it/opere-selezionate-mostra-torlonia-marbles-roma.html). L’opera proveniente dalla prestigiosa Collezione Giustiniani nata per volontà del Marchese Vincenzo (1564–1637), era stata probabilmente una delle prime acquisizioni ed era tenuta in grande considerazione perché collocata nella galleria di Palazzo Giustiniani e menzionata in tutte le principali guide di Roma dell’epoca e nei diari di viaggio dei visitatori stranieri. Il marmo, come altre della collezione Giustiniani, entrò nel Museo Torlonia alla metà del XIX secolo (leggi anche https://www.secondamanoitalia.it/vivere/roma-i-marmi-torlonia-collezionare-capolavori).

La scultura ad un primo sguardo affascina per la sua imponenza e dignità, pur raffigurando un animale non certo considerato nobile.

A ben osservare però si notano nell’opera alcune interessanti dissonanze stilistiche. Il corpo della bestia, sebbene anatomicamente perfetto, presenta una superficie meno definita nei dettagli, i riccioli del vello sono appiattiti e tradiscono una lunga esposizione all’azione degli agenti atmosferici. La testa invece è di tutt’altra potenza espressiva. Il pelo è fresco e voluminoso, le corna sontuose si torcono in leggere volute capaci di strutturare lo spazio attorno a loro. Gli occhi cavi danno un’espressività quasi umana all’animale, accentuata dalla garbata barbetta che addolcisce un muso che pare accennare un sorriso compiaciuto.

Da dove nasce questa differenza così flagrante? Nasce dal fatto che la scultura, per come oggi la possiamo vedere, è il risultato di un assemblaggio tra il corpo databile al I-II secolo d.C. e il capo risalente al XVII secolo. Al rifacimento della testa, presumibilmente andata perduta, attese nientemeno che il giovane Gian Lorenzo Bernini attorno al 1620, chiamato dal Marchese Giustiniani ad intervenire a più riprese come restauratore. Di qui meglio si può comprendere l’imponenza e la spettacolarità di quelle fattezze che richiamano la ricchezza del Barocco piuttosto che l’eleganza dello stile classico.

La disinvoltura con la quale a quell’epoca si interveniva sulle opere antiche, lascia il visitatore un po’ perplesso. Secondo le più moderne teorie di restauro nessuno oggi penserebbe di risarcire l’intera parte di una scultura andata completamente perduta.

Tuttavia questa operazione restituisce oggi un’opera unica e straordinaria che idealmente racchiude in sé le due anime di Roma, quella Classica e quella Barocca, omaggiando al contempo i due periodi più gloriosi per l’arte della Capitale.