
In un ex salumificio sorge il MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove. Un mondo parallelo che trova casa a Tor Sapienza, periferia di Roma Est.
Uno spazio divenuto città, una città divenuta museo. Arte e vita quotidiana si confondono, si mischiano e si salvano. Questa è la storia di Metropoliz e del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove, sorto all’interno di un ex salumificio.
Un grande stabilimento rivive al civico 913 della via Prenestina. L’ex salumificio Fiorucci si stagliava nella periferia est di Roma, più precisamente nel quartiere di Tor Sapienza. Lo stabile, dopo 10 anni di disuso, viene occupato grazie all’aiuto dei Blocchi Precari Metropolitani, un’organizzazione che rivendica il diritto dell’abitare. Duecento persone – italiani, marocchini, ucraini, peruviani, rumeni – senza una casa ne trovano una. Questa è Metropoliz_Città Meticcia.

Un cancello verde. Tante cassette della posta colorate affisse. Si varca la soglia e ci si addentra in un museo a cielo aperto. È un tripudio di opere d’arte: ogni oggetto, ogni angolo, ogni muro ha qualcosa da raccontare.
E la ferale natura di questo luogo ce la ricorda fedelmente un dipinto di Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquin: un’intera parete ospita un’opera di 30 m. Quindici maiali squartati e appesi a ganci ci riportano indietro nel tempo, a ciò che qui realmente accadeva.

Ma i due artisti spagnoli celebrano anche la possibilità di uscire dalla sofferenza, di e-MAAMciparsi. Due maiali, infatti, spiccano il volo… verso la libertà. Qui, nella Cappella Porcina, i maiali decidono di divenire padroni dei loro destini e, così, compiono una scelta. Perché c’è sempre un’altra possibilità anche quando tutto sembra perduto.

Questa è la storia dell’Altro, della diversità, che si integrerà nel 2012 con l’Altrove.
Ma cos’è l’Altrove?
Metropoliz, anno 2011. Due antropologi e film maker bussano al 913 della Prenestina: sono Giorgio De Finis e Fabrizio Boni. Hanno un’idea, un progetto cinematografico in testa, e si immaginano una storia: i Metropoliziani vivono felici ma gli abitanti della Terra non li capiscono, non comprendono la loro vita così fuori dagli schemi. Decidono, quindi, di costruire un razzo per partire e atterrare sulla Luna, perché la Luna non è di nessuno e nessuno la può comperare.
Eccolo l’Altrove. La Luna.
Il cantiere cinematografico prende vita. Gli ingranaggi si muovono e filosofi, scienziati e numerosi artisti riescono a portare la Luna sulla Terra. Vede la luce Space Metropoliz.
La prima opera contemporanea realizzata, divenuta subito simbolo della città meticcia, è stata il telescopio di Gian Maria Tosatti: barili di petrolio, lenti e ferro i materiali utilizzati. Come richiesto dai Metropoliziani, fu collocata in cima alla torre dello stabilimento, così che tutti gli abitanti del quartiere potessero vederla: un modo per esistere agli occhi di chi non voleva notarli.

E fu così che l’arte chiamò altra arte.
Metropoliz, anno 2012. Terminano le riprese ma la città meticcia non vuole che il cantiere chiuda. E così, come prosecuzione ideale, nasce il Museo dell’Altro e dell’Altrove, il MAAM. Il primo nucleo era già presente: i relitti artistici del set cinematografico costituivano già una buona collezione. Da questo momento, però, l’arte prolifererà a sostegno e difesa dell’occupazione. Non è un caso, infatti, che i Guardiani della luce proteggano l’ingresso di Metropoliz: Stefania Fabrizi raffigura la moltitudine che crea unità.

Un mondo parallelo. La luna scesa in terra. Dare una definizione del MAAM non è semplice. È un museo per chi lo visita, è una casa per chi lo abita, è una città per la comunità che lo vive.