
La città universitaria di Roma
Realizzata negli anni Trenta, in pieno regime, la città universitaria è una sintesi architettonica di modernità e tradizione, destinata all’istruzione superiore, che, se da un lato, racchiude e rappresenta un’ideologia di Stato, dall’altro è l’esito di un gruppo di architetti fra i più grandi del Novecento, guidati da Marcello Piacentini, ideatore del centrale e simbolico Rettorato.
La sede decentrata rispetto alla storica Sant’Ivo alla Sapienza, nei pressi di piazza Navona, si conciliava a una nuova concezione dello spazio-città e dei luoghi deputati alla formazione della classe dirigenziale e colta.
La ricezione del nuovo Studium Urbis
La ricezione del progetto e la sua realizzazione furono oggetto di critiche nazionali e plausi dall’estero. In Italia veniva colto dagli addetti al settore l’impianto marcatamente monumentale come esemplificazione e apologia del Fascismo e della sua ideologia. Giornali stranieri ne riconoscono l’originalità nello scenario dell’Università Mediterranea che si rinnova. Due voci autorevoli e molto critiche del tempo come Argan e Tafuri alimentano il dibattito e l’attenzione sull’opera.
Molti dunque i detrattori e i sostenitori che ne hanno fatto un caso emblematico e simbolico di un’epoca.
Il gruppo di architetti
Piacentini riceve l’incarico di coordinare la costruzione della città universitaria nel 1932. L’area predisposta alla costruzione è periferica, racchiusa tra l’Esquilino e via Nomentana e via Tiburtina. Il viale dell’Università è l’unico collegamento diretto con la città storica e idealmente congiunzione con la stazione Termini.
La nuova università risponde a quesiti e dilemmi su come ripensare centri di studio troppo affollati e concentrati in aree urbane (era il caso del centro di Roma) già di per sé congestionate per la densità di popolazione e la presenza di attività e luoghi designati al potere e alla burocrazia. Era una necessità sorta all’indomani della presa di Roma nel 1870 quando la città pontificia divenne capitale.
Piacentini, affiancato da un Consorzio (un ente predisposto a contribuire economicamente e controllare i lavori), dirige un gruppo formato da Pagano, Minnucci, Ponti, Aschieri, Foschini, Rapisardi e Capponi.
A Piacentini spetta la planimetria generale e il Rettorato. Ogni architetto trova soluzioni personali seguendo un programma e delle regole comuni: il limite riguardante l’altezza degli edifici (massimo tre/quattro piani), e aspetti specifici sull’illuminazione e l’areazione degli ambienti.
Lo stile
La pianta del progetto rispecchia quella di una città di netta derivazione greco-romana, cruciforme. Lo schema viene definito dal Piacentini “basilicale”: il fabbricato della basilica si assimila al concetto di città come rappresentativo di una struttura che ricorda il corpo umano in cui ogni componente fa parte di un tutto armonico, in una proporzione che lo governa.
Seppur nella diversità degli edifici emerge in modo costante l’attenzione alla luce. Nella Gipsoteca di Lettere di Rapisardi si ha la netta impressione di entrare in un ambiente museale dove le aperture creano effetti di luce ritmata. Caratteristica presente anche in biblioteche di altri edifici per valorizzare gli spazi funzionali.
Ad ispirare il rivestimento murario in alcuni casi sono stati gli scavi di Ostia del periodo anche se le soluzioni sono varie.
Per quanto la città universitaria maggiore di Roma fosse immagine della Nazione, ciò non toglie quanto lo sforzo congiunto di più autori abbia reso questo centro di studi di sicuro interesse nel panorama europeo e internazionale.
Fonte: Guia Baratelli, La città universitaria di Roma. Costruzione di un testo architettonico. Silvana Editoriale 2019