crab robot

Il robot netturbino tricolore “Crab robot” è stato presentato l’anno scorso al World Ocean Day. Il progetto, guidato dal Dott. Marcello Calisti dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e con il supporto della National Geographic Society, si presenta nella sua innovazione

Si chiama Crab robot, ed è l’androide spazzino italiano presentato l’anno scorso alla World Ocean Day. A capo del progetto, il Dott. Marcello Calisti ed il suo team dell’istituto di Biorobotica della scuola superiore Sant’Anna. Questo piccolo spazzino tecnologico si occuperà di ispezionare, studiare e analizzare le acque in cui si immergerà, ripulendole poi dalle microplastiche.

Il robot

Il robot granchio arriva a pesare 20 chili ed è dotato di telecamere ad alta definizione e sensori per vedere ciò che ha attorno e per orientarsi. Dispone inoltre di 6 gambe in grado di muoversi in maniera molto articolata, il che garantisce ampi movimenti e un’ottima adattabilità al fondale marino sottostante: l’apparecchio è infatti capace di muovere ogni arto a proprio piacimento, il che gli consente di togliere ostacoli dal suo cammino e saltellare senza arrecare danno all’ecosistema subacqueo. Guidato a distanza tramite tecnologia wireless e capace di addentrarsi fino a 200 metri di profondità, questo piccolo granchio metallico compie egregiamente il suo lavoro sopportando anche pressioni elevate.

Il Crab robot

Le parole del coordinatore

Quest’ambizioso progetto presenta un nome in codice, Silver 2, chiamato così in quanto il Crab robot costituisce un’evoluzione di un vecchio modello, il Silver appunto, che però permetteva solo l’esplorazione marina, senza la raccolta di microplastiche. Per adesso, il nostro granchio 4.0 è solo un prototipo ed in futuro il team tricolore ha in progetto di aggiungere un nuovo braccio meccanico per la raccolta di altre forme di rifiuti. “L’idea per questo robot subacqueo è nata un paio di anni fa.  Volevamo dare risposta a un’esigenza forte della robotica marina: creare un robot capace di interagire con il fondale senza procurare danni a sé e all’ambiente: così abbiamo pensato di ispirarci ai granchi che vedevamo fuori dal nostro laboratorio, sullo Scoglio della Regina, e abbiamo iniziato a studiare i loro movimenti con telecamere ad alta definizione spaziale e temporale” spiega Calisti, responsabile del progetto.

Il problema della plastica in mare

Molti sono gli interessi ai fini della tutela marina. Ma ne vale la pena? Sappiamo che con mari e oceani la questione sta sfuggendo di mano. Dati Greenpeace ci rendono noto che con tutta la plastica accumulatasi nei fondali, si potrebbe compiere 400 volte il giro della terra e che sono 700 le specie animali che muoiono a causa di soffocamento da detriti. Le microplastiche poi, ingerite dalla fauna, finiscono direttamente nel nostro stomaco dopo un apparentemente innocuo pranzo a base di pesce. Procedendo per questa strada, nel 2025 i rifiuti negli oceani supereranno le 250 milioni di tonnellate. Ecco perché è importante averci un occhio di riguardo. Perciò sì, ne vale davvero la pena.