
Da mons Testaceus a Testaccio. La storia della collina di 35 m, formata da cocci (testae in latino) e detriti, che ha dato il nome a uno dei rioni popolari più famosi della Capitale.
Testaccio
Una collina alta 35 m, formata da cocci (testae in latino) e detriti, dà il nome a uno dei rioni più noti della Capitale: da mons Testaceus a Testaccio. Si trattava, dunque, di una grande discarica del porto dell’antica Roma, l’Emporium, creatasi per l’accumulo di frammenti di vasi di coccio.
Il porto era il punto di approdo di quelle merci che, una volta arrivate dal mare (dal porto di Ostia), dovevano risalire il Tevere. Si trattava perlopiù di marmi, grano e vino contenuti all’interno di anfore. Sono i proprio i cocci di queste ultime che a poco a poco hanno creato la montagnola. Non è un caso, infatti, che il simbolo del rione sia proprio un’anfora.
I marmi, invece, che i Romani continuarono a importare sino alla fine dell’Impero da tutto il Mediterraneo, diedero il nome alla vicina via Marmorata.
Quest’area, fino al 1870, nonostante si trovasse all’interno delle mura, fu abitata da pastori e contadini poveri. Era infatti soggetta ad alluvioni del Tevere e alla malaria. Lo spazio, invece, tra il Monte dei Cocci e le mura, ricco di prati, veniva utilizzato dai Romani di città per le gite di pasquetta.
È con l’industrializzazione della zona (mattatoio, ferrovia, gazometri), a fine Ottocento, che nacque il rione, proprio per ospitare gli operai che lavoravano nelle strutture lungo la via Ostiense.
La fontana delle Anfore
Cuore del rione è piazza Testaccio – che fino al 2012 ha ospitato il Mercato Coperto (oggi trasferitosi nei pressi del Macro Testaccio) – con la Fontana delle Anfore. Fu realizzata nel 1927, qualche anno dopo l’istituzione del rione. Interamente in travertino, deve la sua originalità al fatto di essere la prima fontana decorativa-abbeveratoio. Su un lato corto di una delle quattro vasche rettangolari su cui si riversa l’acqua si trovava un’anfora in bassorilievo da cui fuorisciva una cannula per bere.