
Il 2 febbraio si festeggiava la giornata mondiale delle zone umide. Una festività che tenta di sensibilizzare su una problematica del presente
Il 2 febbraio si celebra il World Wetlands Day, tradotto “la giornata mondiale delle zone umide”. Ne avete mai sentito parlare?
Il 2021 è stato l’anno del suo 50esimo anniversario. Tutto è iniziato nel 1971 grazie alla convergenza di diversi movimenti ambientalisti, riuniti in occasione della firma della convenzione di Ramsar, un trattato sottoscritto da oltre 150 paesi con cui sostanzialmente si promette un impegno mondiale nella salvaguardia degli ecosistemi “umidi”. Secondo i dati raccolti dalla convenzione stessa, sono oltre 220 milioni gli ettari coperti dalle zone umide nel mondo, rifugio per volatili, piante, mammiferi, anfibi, pesci e invertebrati. Di questi, 82.331 ettari (circa 15.000 con superficie agricola) si trovano in Italia, Paese che conta 65 siti Ramsar.
Per “zone umide” si intendono delle aree terrestri inondate d’acqua in modo permanente o temporaneo, come paludi, stagni, laghi ecc. La loro utilità? Esse occupano un ruolo cruciale nel mantenimento dell’equilibrio ambientale: contribuiscono nella lotta ai cambiamenti climatici, accolgono grande biodiversità, costituiscono il fulcro di grandi rotte migratorie nonché una fonte di acqua dolce e cibo.
Ma la situazione del presente è problematica: dal 1900 a oggi, almeno i tre quarti delle zone umide di tutto il mondo sono scomparsi, con conseguente rischio per moltissime specie animali. Tutto questo è causato dai cambiamenti climatici, dall’eccessivo sfruttamento di risorse, dall’urbanizzazione, dall’inquinamento, dall’uso eccessivo di acqua proveniente da queste zone (ad esempio per l’irrigazione). Obiettivo di tale giornata dunque è proprio quello di sensibilizzare riguardo queste tematiche.