
Uno spazio di sperimentazione culturale in uno dei migliori esempi di archeologia industriale della capitale
C’era una volta un mattatoio. Era il 1888 quando fu chiesto all’architetto Gioacchino Ersoch di progettarlo.
Testaccio. Questo è il rione in cui sorge. Un padiglione di forma rettangolare, con muri in mattoni e numerosi elementi architettonici in ferro. Non un caso la scelta del luogo: Testaccio, in quegli anni, era già stato scelto per la costruzione di abitazioni operaie in vista del più importante insediamento commerciale e industriale della Roma del tempo.
Qui la carne veniva macellata e distribuita per tutta la capitale.
Ma arriva il 1975, la città raggiunge i 3 milioni di abitanti e un nuovo mattatoio viene costruito. Ecco che questo viene dismesso. Ma non “muore”, anzi, tutto il contrario.
Denominato “Ex Mattatoio”, a seguito di diverse ristrutturazioni — che interessarono i padiglioni utilizzati per i serbatoi dell’acqua, per la pelanda e per la macellazione dei suini — nel 2002 diviene la seconda sede del noto museo di arte contemporanea Macro: il Macro Testaccio. Situato nel complesso ottocentesco, è oggi uno spazio di sperimentazione culturale multisfaccettata e l’originalità della sua architettura ne ha fatto uno dei migliori esempi di archeologia industriale della capitale. Un grande complesso espositivo a pochi passi dalla riva del Tevere e nel cuore di uno dei quartieri più vivaci e famosi di Roma.
Oltre a un fitto percorso dedicato al contemporaneo, dal 2018 gli spazi sono entrati a far parte di un progetto di riqualificazione volto alla creazione di un polo artistico e culturale il cui fine è quello di mostrare un volto incisivo e contemporaneo della città.
Per info: www.mattatoioroma.it/pagine/il-mattatoio