Scultura Desolazione di Vincenzo Vela, XIX secolo, Bologna, Certosa
Vincenzo Vela (1820-1891), Desolazione, marmo bianco, cella sepolcrale Gregorini Bingham. Bologna, Certosa

Visite all’aperto: un’alternativa alla temporanea chiusura dei Musei

Tra i posti da riscoprire in questo periodo che vieta le visite ai luoghi chiusi, alle mostre e ai Musei a causa delle restrizioni per Covid-19 c’è sicuramente la Certosa di Bologna.

Se in tutta Italia quando si menziona una Certosa si pensa ad un monastero, a Bologna si intende invece il cimitero monumentale della città. Si tratta di una superficie di circa 30 ettari, ubicata poco fuori dal centro, che raccoglie monumenti funerari straordinari dall’Ottocento al Novecento e tombe di personaggi famosi come Giosué Carducci e Lucio Dalla.

La nascita di questo cimitero è legata alle riforme imposte da Napoleone ed in particolare all’introduzione dell’editto di Saint-Cloud del 1806, che prevedeva di seppellire i defunti fuori dalle mura cittadine per motivazioni igienico sanitarie, abbandonando la secolare tradizione dei cimiteri adiacenti alle chiese. Bologna, anticipando di qualche anno l’entrata in vigore della legge, scelse già a partire dal 1801 la sede del neo soppresso ordine dei Certosini come luogo deputato alle sepolture. La secolare struttura monastica fondata nel XIV secolo con il suo inanellarsi di chiostri era il luogo ideale per questa nuova destinazione che ne avrebbe cambiato per sempre l’aspetto e la vocazione.

Le prime tombe illustri furono dipinte a trompe œil e finti telamoni, con lapidi e decori marmorei affrescati direttamente sul muro. Le famiglie importanti consideravano quelle tumulazioni come provvisorie e decisero per questo di non investire in monumenti veri e propri, confidando in un ritorno precoce alla tradizionale sepoltura nelle cappelle di famiglia all’interno delle chiese. Tuttavia gli anni passavano e la richiesta di monumenti prestigiosi aumentò trasformando la Certosa nel luogo d’elezione della cultura artistica dell’epoca. I suoi chiostri nati per la deambulazione e la riflessione venivano ora percorsi per godere e conoscere le novità artistiche trasformandosi “nel salotto buono” della città.

La concentrazione di commesse importanti, richiamò a poco a poco non solo artisti sempre più importanti come i pittori P. Palagi e A. Basoli e scultori come G. B. Frulli, G. De Maria, G. Putti, V. Vela, S. Galletti, E. Casati e P. Cacciari, ma anche visitatori illustri come Lord Byron, Jules Janin e Charles Dickens. Per comprendere la portata del fenomeno basti pensare che all’accoglienza degli avventori era addirittura preposta la figura di un custode facente le veci di guida ai monumenti che parlava anche francese.

Oggi ciò che ci resta di questa gloriosa stagione è un repertorio straordinario di arte funeraria. Si passa dalle tombe del primo Ottocento, quasi prive di simboli religiosi e ispirate agli ideali della Rivoluzione Francese, a sepolture eccentriche in stile Retour d’Egypt, passando per il Liberty fino al Razionalismo del 900 con il colossale monumento ai Caduti della Grande Guerra.

Questo grande museo all’aperto che nulla ha da invidiare al ben più noto cimitero di Père Lachaise a Parigi, vive della memoria dei suoi defunti e della riscoperta che oggi i visitatori possono farne. Seguendo le orme dei viandanti dei secoli passati ci si immergerà nella ricerca della bellezza e perché no, di un’insolita meditazione sulla fugacità della vita nella tranquillità e nel silenzio di quei chiostri secolari.