
Un viaggio fra Centro e Sud America alla scoperta dei luoghi più suggestivi del “nuovo mondo”: ecco la storia di Aldo e Christine, compagni di vita e professione, e del loro Toyota HZJ79
“Dalla boscaglia lungo una pista del Nicaragua uscirono all’improvviso militari incappucciati con tanto di armi di precisione: ci fecero segno di proseguire con il nostro Toyota dileguandosi in pochi secondi nella polvere rossastra. Più tardi, a un posto di blocco capimmo il motivo di tanto subbuglio: quelle incontrate prima erano unità antidroga e a terra, distesi davanti a noi, c’erano 542 pacchi di cocaina pura, 1200 chilogrammi in tutto, sequestrati ai trafficanti e provenienti dalla Colombia”.
E’ uno degli episodi che ricordano più spesso Aldo Pellati e Christine Burkia, due altoatesini appassionati di avventura, protagonisti di un lungo viaggio che li ha accompagnati, con il loro Toyota Land Cruiser HZJ79, dall’Italia sino in Centro e Sud America.
Chef per 16 anni e per altri 20 maestro di cucina e pasticceria alla scuola alberghiera Cesare Ritz di Merano, in Trentino Alto Adige, a sentir parlare Aldo di ricette, pentole e fornelli viene l’acquolina in bocca. Ma anche quando i racconti riguardano i tanti viaggi fatti con la compagna di una vita, Christine (collega all’alberghiero), il suo entusiasmo non contagia certo meno.
Dal 1997, con la pensione, Aldo si è trasformato in un “nomade del nuovo millennio” viaggiando sette-otto mesi l’anno: “Sì ma con la testa sempre ben sulle spalle! I nostri viaggi sono improntati a un’autonomia assoluta e a itinerari che sfuggono ai tracciati turistici – precisa – A Merano stiamo benissimo e ogni volta ci torniamo volentieri. Siamo genitori e nonni e vedere la nostra famiglia è sempre una grande gioia. Ma viaggiare è qualcosa che fa parte di noi: amiamo la natura e conoscere gente, usi e costumi dei luoghi in cui andiamo”.
Lungo la frontiera fra Brasile e Bolivia Aldo e Christine hanno percorso la Transpantaneira, una pista, l’unica fra l’altro, che per 145 km è un susseguirsi di buche e tratti invasi dall’acqua. “In tre giorni abbiamo superato 116 ponti in legno più o meno malfermi, spesso costretti a spostare le assi mancanti da un punto all’altro per riuscire a proseguire: purtroppo i sostegni del 117° ponte avevano ceduto e il passaggio sarebbe stato troppo pericoloso per via dell’inclinazione. Con grande delusione siamo stati costretti a tornare indietro – ricorda Aldo – Studiando però le carte geografiche abbiamo deciso di percorrere i 1.830 km di pista verso la Foresta Amazzonica, da Cuiabà a Santarem, fattibili solo nella stagione asciutta. I primi 300 km sono stati piuttosto scorrevoli sino all’inizio di un tracciato in terra rossa nella foresta pluviale. Per ore e ore ho cercato di scansare buche di ogni dimensione accorgendomene spesso solo quando c’ero già dentro. Dopo 2 giorni di polvere, fumo e caldo umido un temporale ci ha costretti a abbandonare la pista ostruita da un camion sprofondato nel fango obbligandoci a seguire le tracce di un mezzo cingolato”.
Qualche ricordo particolare di questa incredbile avventura? “Eravamo in Argentina e stavamo percorrendo la mitica Ruta 40, El Camino Real: arrampicandoci su una pista sassosa, dopo numerose curve, arrivammo al passo Abra del Acay a 4.985 metri di altitudine. Il nostro Toyota sputava un fumo acre e arrancava con fatica per via della rarefazione dell’ossigeno – racconta Christine – Dopo l’ennesimo tornante, un gruppo di lama e guanachi ci sbarrò la strada. A liberarci il passaggio furono gli indios, discendenti degli indiani Calchaquì, con la loro carnagione scura, le guance paonazze, i capelli lunghi e corvini e un poncho di lana grezza”.
In varie tappe dal 2004 al 2007 e dal 2012 al 2014, Aldo e Christine hanno visitato in lungo e in largo Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Panama, Perù, Uruguay, Nicaragua, Honduras, Guatemala e Belize percorrendo qualcosa come 180 mila km (e consumando 320 mila litri di gasolio). Fin quando il loro HZJ79 ha puntato in direzione degli Stati Uniti. Ma questa è un’altra storia da raccontare…