Donna con mascherina lacrima
(Shutterstock.com)

I risultati della ricerca effettuata su un campione di 6700 persone mettono in evidenza l’impatto del Covid-19 sulla salute mentale. Tra i vari fattori presi in considerazione, le condizioni di lavoro sembrano svolgere un ruolo importante sulla condizione psicologica.

La pandemia di Covid-19 ha avuto un enorme impatto sulla nostra realtà. I numerosi cambiamenti al nostro modo di vivere hanno avuto effetti psicologici importanti. In particolare, si è verificato un aumento di ansia, depressione e sentimenti di angoscia. Uno studio recente, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Scientific Reports, ha indagato questi aspetti per individuare le condizioni che incidono di più sulla percezione del disagio. Lo studio ha evidenziato gli esiti personali, sociali ed economici del lockdown in Italia, il primo paese a dover fronteggiare questo tipo di misura. La ricerca è stata svolta nel giugno 2020 da Marco Delmastro, ricercatore di AGCOM, e Giorgia Zamariola, ricercatrice dell’Università di Bologna. I 6700 partecipanti hanno risposto ad un breve questionario che valuta umore e sentimenti (Short Mood and Feelings Questionnaire).

Lavoro, pandemia e benessere

I risultati della ricerca mettono in luce i gravi effetti della pandemia sul benessere psicologico della popolazione. Nello studio, gli autori si soffermano particolarmente sull’interazione tra condizioni di lavoro e salute psicologica tra gli italiani. Da un punto di vista lavorativo, a risentire maggiormente della situazione sono stati lavoratori a basso reddito. Infatti, i soggetti con status economico meno agiato e specifiche situazioni di incertezza professionale, quali la cassa integrazione o la disoccupazione, hanno subito le conseguenze più serie dal punto di vista della salute psicologica. In particolare, punteggi di ansia e depressione maggiori sono stati riscontrati nelle donne e nei giovani.

Isolamento e smart working

Un altro fattore che ha influito negativamente sul benessere percepito dai lavoratori è stato il ricorso alla smart-working. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, il lavoro da casa aumenta lo stress del dipendente. L’aumento del disagio percepito è dovuto all’isolamento e al distacco dalle reti sociali. Come spiegano gli autori dello studio nell’articolo comparso su LaVoce.info:

Sintomi di depressione si segnalano anche per gli individui che vivono da soli e per coloro che non potevano uscire di casa per recarsi al lavoro. In altre parole, nonostante lo stress della condizione lavorativa emergenziale, chi ha continuato ad andare a lavorare ha avuto meno probabilità di sviluppare sintomi depressivi e di ansia”.

Un impiego stabile, una retribuzione adeguata e la possibilità di poter proseguire la propria attività lavorativa in presenza, mantenendo il contatto con i colleghi e i clienti, potrebbero rappresentare dei fattori protettivi per quanto riguarda la prevenzione di ansia, depressione e sentimenti di angoscia. Lo studio sottolinea che per rispondere all’aggravarsi dello stato di salute psicologica si devono produrre modelli di intervento non generalizzati, che tengano conto di diversi elementi e situazioni. In particolare, è importante considerare le caratteristiche che costituiscono un fattore di rischio per le condizioni dell’individuo, come la situazione lavorativa, il genere e l’età. Gli autori sostengono l’importanza di un approccio che utilizzi politiche che guardino alla totalità della persona, considerando la salute sia fisica che mentale degli individui.